Pascal Niggenkemper

bassist - composer


Described by the New York City Jazz Records as "one of the most adventurous bassists on the scene” and by the Chicago Reader “genius for sound exploration” Franco-German bassist and composer Pascal Niggenkemper creates music bluring the lines between improvised, pure sound, and experimental music with a distinct musical language.

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Pascal Niggenkemper





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album reviews - la vallée de l’étrange




CD4 : Pascal Niggenkemper la vallée de l’étrange - subran04

a face to face between a double bassist and an autonomous augmented double bass in octophonic setting

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In La vallée de l'étrange (subran04), den Gruselgraben, hat mich auch schon Luminance Ratio mit „Uncanny Valley“ gestoßen. Gemeint ist ein Befremden, das einen anwandelt, wenn Roboter und Avatare erschreckend 'menscheln'. PASCAL NIGGENKEMPER über- trägt das auf Kontrabässe, indem er, in einem Kreis von 8 Lautsprechern, einem normalen Double Bass einen erweiterten (mit Motörchen, an ihm festgesetzt wie rote Parasiten, und Piezo) an die Seite stellt. Er spielt den Bass, teils horizontal gelegt, mit Bogen, Mallet, dem Mund, präpariert die Saiten mit weiteren Stegen, Bongofell, einem kleinen Lampenschirm. Das motorisierte Double interagiert mit einem Frequenzband von Vibrationen und Pattern. So entstand das gesägt brummende, von Geräuschimpulsen überschüttete, panisch eska- lierende 'Doppelgänger', das Titelstück mit pressendem, fauchendem, losem Mundwerk und per Motor beschrummten, gekratzten Saiten. Für 'Le Faux Miroir' (nach einem Bild von Magritte) traktiert er den Korpus mit Ketten, Pingpongball, Tamburin, Plastik. 'Fusion' jault als Videospielgeballer und Autoalarmanlage und dazu schnarren launige Bogenstriche. 'Cobonore' (ein doppeltes Kofferwort aus Co-, Robot/Hubot und Sonor) klopft, plonkt, knarrt, klappert, furzt als Bulgakows Polygraf Bellow in der Basswelt. Dem finalen Ruf zir- pender Striche antwortet einsilbiges, immer insistenteres Schrumm-schrumm-schrumm.

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W ramach pogłębiania wiedzy na temat konceptualnych działań kontrabasisty sięgamy po album la vallée de l'étrange. To specyficzny dialog dwóch kontrabasów z wykorzystaniem … jednego muzyka i koncentrycznie rozstawionych ośmiu głośników oktofonicznych, które przekazują dźwięk generowany przez drugi z kontrabasów, zapewne bez wpływu działań samego muzyka. Kontrabasowe frazy akustyczne w opozycji do mechanicznych fonii, czasami brzmiących dość syntetycznie. Żywe frazowanie versus robotyka! Kolejny szalony pomysł Pascala, który w wymiarze czysto fonicznym zdaje się być jego kolejnym sukcesem artystycznym.
Pierwsza z siedmiu przygód zaczyna się od niskiego frazowania smyczka, które zdobione jest strzępami fonii generowanymi przez drugi instrument, przypominającymi brzmienie syntezatora analogowego. Smyczek incydentalnie pnie się tu do góry, śpiewa post-barokiem, a podwójna narracja intrygująco zagęszcza się. W drugiej części smyczek fazuje wysoko napotykając na szumiące i szeleszczą frazy interlokutora. Opowieść toczy się wedle zasady akcja – reakcja. W kolejnej części żywy kontrabas płynie delikatnym strumieniem pizzicato, a akcje drugiego instrumentu, to minimalistyczne plamy post-akustyki. Całość przypomina Jezioro Łabędzie broczące w popromiennym mule. W czwartej części narracja koncentruje się na drganiach i pocieraniu strun, piąta zaś stawia na … syntetyczne emocje. Augmented double bass generuje mnóstwo drobnych fraz, a smukły dron żywego kontrabasu ledwie tli się w dalekim tle. Całość z czasem nabiera pewnej taneczności, zarówno w wymiarze robotycznym, jak i akustycznym. W części szóstej muzyk preparuje instrument smyczkiem i być może perkusyjnymi pałeczkami. Reakcją drugiej strony jest strumień fonii, który przypomina usterkową elektronikę. Dialog prowadzony tu jest metodą call & responce. W finałowej opowieści smyczek dynamicznie uderza w struny, wpada w niemal opętańczy taniec. Drugi kontrabas pulsuje niczym rockowy walec.

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Nel 1970 Masahiro Mori insinuò in una sua teoria che gli uomini di fronte ad un robot sempre più somigliante al genere umano hanno inizialmente una crescente reazione emotiva positiva che però ad un certo punto subisce una brusca inversione, una spiacevole repellenza che comunque viene poi recuperata: Mori chiamò bukimi no tani genshō quell’area di infelice inversione, una definizione giapponese che in inglese sta per uncanny valley. La zona di perturbazione di Mori è l’elemento ispiratore della musica del secondo lavoro in solo contrabbasso di Pascal Niggenkemper, che ha trasformato concretamente la teoria di Mori concependo come robot un secondo contrabbasso “motorizzato” che entra in simbiosi con lui durante la performance: 8 rotori applicati ad un contrabbasso nero in zone differenti (corde, ponti, corpo, etc.) opportunamente microfonati (microfoni piezoelettrici) e amplificati (collegati a 8 altoparlanti). Niggenkemper lo fa funzionare tenendolo di fianco o immediatamente dietro come in un’installazione e cerca soluzioni inedite per sperimentare un dialogo con questo ulteriore gigante che dovrebbe essere valutato empiricamente (1).

la vallée de l’étrange è perciò musica per contrabbasso acustico e contrabbasso aumentato ottofonico che si inoltra in meccanismi sonori esplorativi che tendono a creare una differente percezione d’ascolto, un set di verifica tra realismo e imperfezioni che Niggenkemper immagina come un campo di lavoro che può dare informazioni; ognuno dei 7 pezzi costituenti la vallée de l’étrange ha una sua filosofia costruttiva che è bene leggere nelle note del lavoro, ma nella sostanza la vallée de l’étrange è un prodotto squisitamente estetico che cala probabilmente le sue radici in quell’immersione profonda nell’automazione meccanica che interessa molto anche una piccola parte della composizione classica. Ciò che Niggenkemper fa benissimo è dosare le densità, verificare che cosa succede all’incrocio sonoro, perché se da una parte c’è un input variabile di cui si conosce la natura, dall’altra regolando la velocità dei motori si possono ottenere risposte non preventivabili: prendete il bittico iniziale di la vallée de l’étrange per rendervi conto di come si possa creare real time una confluenza di idee acustiche e meccaniche che ha del prodigioso. La sintesi sonora che arriva in Doppelganger nel finale, con i motori che girando sempre più veloci perdono il carattere plugged e producono un’espressiva conclusione, indipendente dalla volontà dell’autore, è la dimostrazione che è possibile creare una dimensione acusmatica con mezzi affini a quelli di uno laboratorio di produzione e gestione dei materiali; nella title track Niggenkemper suona il suo contrabbasso sulle ginocchia e porge la bocca in prossimità dei fori di risonanza e dell’ingresso endpin con sussurri e respiri di un teatro che Mori saprebbe certamente riconoscere perché inconsciamente affine alla sua cultura, ma va detto anche che Niggenkemper ha scoperto che i motori “cantano”, cioè reagiscono come gli umani con una loro intonazione e colore. D’altronde egli non rinuncia nemmeno alle preparazioni del suo strumento, moltissime e anche un pò stravaganti e nelle sue improvvisazioni è frequente vederlo alle prese con catene, con tamburelli appoggiati sul ponte, con il protagonismo di un’abat-jour o di palline di ping-pong che si frappongono sotto le corde o costituiscono gli oggetti di strofinamento della cordiera.

La dimensione “acusmatica” di Niggenkemper ha sempre covato nelle intenzioni del contrabbassista franco-tedesco, come rilevato già su queste pagine da Daniel Barbiero in occasione di Look With Thine Ears, suo primo lavoro da solista del 2015 per il quale Daniel affermava che: “...each piece is a kind of tone poem given over to the exploration of a technique or a defined range of timbres; many of these push the bass into acousmatic territory, but no matter how unusual the sounds, Niggenkemper manages to fit them to musical structures, often cohering around a rhythmic core...” (qui la recensione completa).

Penso che con la vallée de l’étrange Niggenkemper abbia alzato il suo livello di comprensione estetica poiché ha probabilmente trovato nell’argomento dell’uncanny valley un sostegno perfetto per la sua musica e per le capacità tecniche che possiede. Una volta riconosciuto che la vallée de l’étrange è uno dei più affascinanti solo contrabbasso degli ultimi vent’anni, il problema che sorge è quello di sfuggire alle cattive interpretazioni del realismo che accompagna le reazioni della teoria di Mori: dietro l’analisi sperimentale del giapponese si nasconde un pensiero che era già nato in psicologia grazie a Ernst Jentsch e al suo saggio Riguardo la psicologia del perturbante, che metteva in guardia gli uomini sulla loro padronanza intellettuale dell’ambiente e sull’incapacità di essi di decifrare il sintomo del “perturbante”. L’inquietudine di fronte ad un robot è probabilmente la stessa che gli esseri viventi provano di fronte a degli individui fortemente differenti nell’aspetto estetico e nel comportamento, perché mancano indizi immediati per capire cosa abbiamo di fronte. Da ciò deriva che l’elevazione ulteriore dell’uomo passa perciò anche attraverso un salto di qualità su questi elementi ed apprezzare la musica di la vallée de l’étrange significa meritare quel salto che oggi è approdo di una piccola flotta di ascoltatori che sono stati in grado di alzare le loro capacità cognitive nella valutazione delle arti. Ma quali sono le strutture cognitive del “perturbato”? Come riconoscerle nella musica di Niggenkemper? La risposta sta nella ricerca, nella creatività diazioni gestuali che hanno una loro codifica nel suono: il contrabbassista è parte di un comunità di esploratori che arricchisce continuamente il lessico delle relazioni e la vallée d l’étrange è un altro tentativo di animare quel panorama di suoni di difficile descrizione, un coltre di suoni che discendono comunque da un’azione sperimentatrice che si colloca nei frattali di un ben definito sentimento espressivo. Su questo punto Niggenkemper ha lavorato suo modo, con un uso esclusivo delle idee musicali e cibernetiche, terreno di una gestualità e di tecniche solo a lui riferibili e perciò la vallée de l’étrange meriterebbe un plauso già solo per questa intrusione intelligente.
Ettore Garzia, Percorsi Musicali